150 ANNI DELL'UNITA' D'ITALIA : UN VIAGGIO A FENESTRELLE


«Uno dei più straordinari edifizi che possa aver mai immaginato un pittore di paesaggi fantastici: una sorta di gradinata titanica, come una cascata enorme di muraglie a scaglioni, un ammasso gigantesco e triste di costruzioni, che offriva non so che aspetto misto di sacro e di barbarico, come una necropoli guerresca o una rocca mostruosa, innalzata per arrestare un'invasione di popoli, o per contener col terrore milioni di ribelli. Una cosa strana, grande, bella davvero. Era la fortezza di Fenestrelle».
( Edmondo De Amicis, 1904 )



In questo luogo estremo vennero eliminati (perché di un campo di concentramento si trattò) un numero imprecisato di prigionieri meridionali, principalmente resti dell’esercito borbonico che non volle allinearsi alle nuove direttive unitarie. Vi morirono soldati, ufficiali, (anche papalini) preti, briganti e prigionieri politici. La loro morte fu senza onore, avvenuta lontana dalle loro terre del sud, senza gloria, in modo crudele. Morirono di stenti, fame e freddo e i loro corpi vennero sciolti nella calce viva in una grande vasca che si trovava dietro la chiesa, affinché di loro non restasse traccia alcuna.

1.
Durante il mio viaggio, effettuato come tributo agli eroi di Fenestrelle, (Torino) non mi è stato possibile documentare l’enorme vasca posta alle spalle della chiesa, perché accedervi occorreva un permesso che io non avevo. Tuttavia ho potuto visitare alcuni ambienti, oggi affidati alla cura di associazioni ambientaliste e di ricerca storica, nelle cui stanze  tengono i loro periodici convegni di studio. Tra questi anche una sezione dell’associazione  alpini ricordato da una bella pergamena in bronzo affissa in bella vista sul fianco del portone d’ingresso.
Mi sono fermato a guardare in alto per ammirare la compattezza degli edifici, la geometria dei bastioni, la loro spettrale esuberanza in rapporto all’ambiente circostante, immerso nel verde, evidenziando subito un contrasto con la mostruosità del luogo la cui costruzione, inaugurata nel 1727, doveva servire per la difesa del territorio e soltanto in seguito diventò tristemente nota per aver rinchiuso  prigionieri provenienti dai resti degli eserciti borbonico e papalino, all'indomani dell'unità d'Italia, diventando così simbolo della repressione savoiarda per quei soldati borbonici che si erano arresi a Civitella del Tronto o per gli estremi difensori di Gaeta, a cui i Savoia avevano garantito salva la vita, perché si erano comportati da eroi, salvo poi mandarli a morire in questo luogo infernale tra atroci tormenti. Tra questi disgraziati anche briganti o parenti di briganti, persino giovani sospettati di aver avuto qualche rapporto con loro, ragazzi che si erano dati alla macchia per non fare il soldato o persone che semplicemente avevano taciuto di fronte agli ordini dei piemontesi per il semplice motivo che non capivano la loro lingua. Tutti questi vennero spediti qui a Fenestrelle, quando non venivano uccisi sul posto, ed in altri luoghi di deportazione, disobbedienti e testardi tanto da rappresentare un pericolo per la nuova Italia fresca conquista da parte di Garibaldi e consegnata alle cure dei Savoia affinché questi ultimi potessero depredarla, massacrarla, umiliarla; la nuova terra conquistata, ricevuta in dote da un complotto di intrighi internazionali, smontata pezzo per pezzo e trasferita a nord. Si trattò di un furto palese compiuto ai nostro danni da volgari ladri nella notte, che si lasciarono alle spalle una terra fumante, le immagini criminali di un genocidio: interi paesi rasi al suolo, stupri, massacri immondi di donne vecchi bambini tutti finiti a coprire di gloria i vari Pinelli, Della Rocca, La Marmora, criminali autoproclamatisi eroi dell’unità d’Italia (e per questo decorati dai Savoia) e il modenese Enrico Cialdini, il più criminale di tutti, il quale raccomandava di “.. Non usare misericordia ad alcuno, uccidere tutti quanti se ne avessero tra le mani.. “ e con la complicità di tutta quella pletora di servi che obbedì, furbescamente, (tra cui anche il nostro Marco Centola, figura indecente di voltagabbana votato alla nuova causa al primo apparire delle famigerate camicie rosse), i cosiddetti galantuomini, latifondisti che, in nome di un malinteso senso di libertà si accodarono alle nuove istante della nazione, fingendo  di non guardare tutte le ingiustizie e i delitti perpetrati dai nuovi “salvatori”,  il cui concetto di unità non era neppure contemplato nelle carte strategiche né di Garibaldi né dei Savoia.
La conquista del sud quindi fu pianificata a tavolino, resa urgente dalle circostanze storiche che vedevano da una parte uno stato solido (il regno delle due Sicilie, terza potenza europea dopo Inghilterra e Francia) mentre dall’altro una potenza regionale di montanari con velleità espansionistiche, in bancarotta, costretta a depredare per sopravvivere. Nasce da qui l’idea di conquista. Non fu vera gloria. I cosiddetti mille delinquenti che Garibaldi impiegò per la conquista del sud godevano della copertura della flotta inglese e del tradimento delle più alte gerarchie dell’esercito borbonico che anziché ostacolare lo sbarco ne favorirono l’impresa non senza gli intrallazzi e i benefici ricevuti della massoneria di cui Garibaldi era appartenente. 

Chissà perché se guardo gli alti robusti bastioni, l’ingresso pittoresco e le mura ciclopiche di Fenestrelle mi vengono in mente i paesi che vennero rasi al suolo dai Savoia, Pontelandolfo e Casalduni, nel Sannio, ed altri che non verranno più ricostruiti. 
Sembra di udire da questo posto silenzioso le loro grida, il crepitio delle fiamme, il latrato delle bestie, il pianto dei bambini e delle loro madri, le urla bestiali dei soldati che squarciano con le loro baionette i corpi dei fanciulli, vecchi e donne e infine gli ordini degli ufficiali : ammazzateli tutti! Gli uomini validi no perché quelli stavano alla macchia a difendere, se cosi possiamo dire, le loro terre dalla ferocia dei barbari. Il colonnello Negri e il maggiore Melegari, criminali di guerra, i responsabili di questi massacri avvenuti a Pontelandolfo e Casalduni, (paesi simboli dell’orrore al cui cospetto Marzabotto o Sant’Anna di Stazzena sembrano fatterelli di poco conto) terminarono la loro carriera militare insigniti dell’ordine della gran croce della corona d’Italia per aver dato l’ordine di uccidere, stuprare e saccheggiare case e chiese senza risparmiare niente e nessuno.
E cosa sono i briganti se non partigiani di una causa giusta non dissimile dai partigiani che combatterono contro il nazi-fascismo ? E' possibile una equazione briganti- partigiani = piemontesi- nazi fascisti ? Certamente entrambi erano motivati dagli stessi ideali di libertà e di giustizia sociale, combattevano gli stessi aguzzini e morivano con lo stesso onore che caratterizza coloro che sanno di compiere il proprio dovere. Molti di questi troveranno la morte tra queste mura invincibili, lontani dalle loro case, dai loro boschi e dal loro sole.
Fu un bilancio tragico: la repressione del brigantaggio comportò la morte di oltre un milione di persone, vi furono oltre 50 paesi distrutti e avvennero stupri e fucilazioni di massa ( tra cui la fucilazione di molti uomini di chiesa ) una tale mole di distruzione e una tale impressionante quantità di orrore che superò di gran lunga tutte le guerre risorgimentali messe insieme per numero di morti e distruzioni di luoghi.
Sono andato via dalla fortezza mentre alle nostre spalle il cielo si stava oscurando.  Dopo le prime curve sul fianco destro, di ritorno verso Pinerolo, rumoroso fa la sua comparsa tra dossi di pietra e alti cespugli il fiume Ghisone che sembra voler accompagnare il nostro cammino verso casa. Quel fiume è stato testimone silenzioso della più grande carneficina consumata in queste terre di confine da novelli italiani contro altri novelli italiani, in un momento in cui l’unità del paese avrebbe potuto (o dovuto) essere motivo di riconciliazione, da nord a sud, dare un taglio forte al passato come fecero gli americani il giorno dopo la fine della guerra di secessione. Ma questo da noi non è accaduto.
Nel mezzogiorno d’Italia i segni di quella sciagurata conquista sono ancora presenti. Emigrazione di massa a parte, per chi vuol capire e sentire lo può verificare tutti i giorni, tra le tante leggi rapina che vengono emanate,  spesso con la complicità dei nostri politici e imprenditori meridionali, a danno delle nostre regioni per frenare lo sviluppo possibile. E ci riescono nel silenzio assordante di tutti.
Naturalmente la fortezza oggi non ha più alcun rapporto col proprio ingombrante passato, cruento e barbaro, anzi oltre alle ovvie ricorrenze storiche, gode degli effetti di un turismo ambientale e paesaggistico notevoli. 
Guardarla dal basso produce un certo effetto. E’ poderosa. Costruita per proteggere i fianchi montuosi del regno di Savoia dai francesi, (in effetti la muraglia robusta corre lungo un pendio di 600 metri portando il dislivello da 1200 a 1800 metri in un territorio per gran parte dell’anno coperto di neve e battuto da forti venti alpini) sostanzialmente non servì mai a difesa del territorio rimanendo cosi una sorta di “ deserto dei tartari “, alla base di una montagna che domina la valle del Ghisone.      

San Marco in Lamis, 22 / giugno / 2011  
                                                                                                   
LUIGI CIAVARELLA
                                               

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