LA MORTE DELLA MUSICA ROCK.
Qualche domenica fa Gino Castaldo ha scritto, sulle pagine
di Repubblica,
una specie di de profundis della musica pop rock. Una morte, secondo lui,
avvenuta per asfissia, sotto intendendo la fine di un modo di percepirla e il relativo
consumo che non c’è più. Sempre secondo lui, riferendosi al pop- rock, ciò sarebbe
dovuto alla mancanza di ideali che un tempo erano l’ossatura del genere, ben
distinto da altri proprio in virtù di queste differenze, che oggi vengono annullate
dai nuovi mezzi d’ascolto che rendono tutto più banale. Tutto ciò mentre si è
consolidato un altro tipo di consumo della musica, più facile, immediato e a poco
costo, riferendosi alla fine del supporto come feticcio a vantaggio di mp3 e
quant’altro, che hanno dato un colpo mortale alla musica rock come arte e creatività,
riducendo il tutto a mera questione di consumo di musica usa e getta che è
quanto stiamo assistendo oggi nel mondo.
In effetti il titolo parla
chiaro: “Addio centralità la rivoluzione
adesso è liquida”e rivela la precarietà con cui oggi si assiste alla fine
del mito del supporto musicale. Tutto ciò sarebbe avvenuto a partire dal nuovo
millennio. Anzi il lento declino delle origini avrebbe subito una impennata in
questi ultimi tempi tali da considerare prossima la morte della musica, almeno nei modi in cui finora l’abbiamo considerata.
In un mondo dove tutto avviene
con velocità supersonica, il disco in vinile, che un tempo lontanissimo era il
mezzo con cui ci permetteva di stabilire un contatto con l’artista, quindi la
conoscenza del suo punto di vista ancor prima della sua musica in rapporto col suo tempo, oggi ci appare come un
oggetto preistorico poiché il consumo della musica di questi tempi avviene solo per allietare
le nostre giornate in modo superficiale. Anche se esiste una musica
indipendente che fonda le sue ragioni su una visione più critica della società,
alla fine prevarrà sempre l’idea che semplifica la musica come atto temporaneo,
transitorio, finalizzato al consumo come un qualsiasi altro prodotto. Per
quanto la musica militante o underground si sforzi nel compito di alimentare il
sottobosco, abitato da una moltitudine disorganizzata di generi, alla fine non
produce nient’altro che un circolo vizioso senza avere la forza necessaria per interagire
con il rock di superficie, avendo istituito un confine che, se in passato
poteva anche essere valicato, oggi, proprio per le ragioni precarie con cui
avvengono i processi di consumo della musica, diventa una linea di demarcazione
impossibile da superare.
Poi ci sono i numeri : oggi il
mercato dei vari supporti digitali sta subendo colpi mortali tali da
annientarli tutti in un periodo considerato breve. Si percepisce chiara la
sensazione che la musica quindi non abbia più quella considerazione avuta
finora, quella centralità appunto e quel rilievo che sino a qualche decennio fa
erano sacre e venivano blandite in un rapporto di condivisioni tra produttore e
fruitore che non avevano eguali in altri settori. Probabilmente il consumo
della musica oggi non risponde più a quei requisiti dal momento che tutto ci
appare precario, sfuggente, provvisorio come pure Castaldo ci avverte: oggi il
consumo della musica è transitorio, non risponde più ai valori che i vari Bob Dylan o altri per esempio gli hanno
attribuito in passato, oggi tutto è considerato un prodotto di consumo come un
altro. I grandi temi sociali o i drammi esistenziali di ciascuna generazione
che, mentre prima venivano cantati o urlati in tanti modi attraverso capolavori
vinilici indiscussi con urgenza indispensabile, oggi non vengono neppure
sfiorati dal sospetto che forse i problemi possono persino essere più importanti
di ieri, ma vengono ignorati o tutt’al più banalizzati sull’altare del profitto.
Fatta eccezione forse per una piccola parte, la voce della protesta e
dell’analisi è spenta. I tempi sono cambiati e tutto scorre con la velocità di
un jet poiché i tanti lavori che si susseguono hanno soltanto il compito di
marcare il territorio.
E’ questa la sensazione che colgo
dalla lettura dei giornali che si occupano di musica rock. Essi non hanno altro
compito se non quello di proporre, mese dopo mese, una infinità di nomi
sconosciutissimi alla massa dei fruitori/lettori, che producono le loro opere in
un contesto privo di riferimenti temporali importanti poiché tutto si consuma
in fretta e saranno in pochi quelli che riusciranno ad occupare un posto di
vertice nel firmamento del nulla che si sta profilando all’orizzonte.
Luigi Ciavarella
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