STICKY FINGERS, IL DISCO CON LA ZIP DEI ROLLING STONES

di Luigi Ciavarella

“ Se i Rolling Stones si fossero fermati subito dopo Exile On Main Street oggi avremmo una diversa immagine di loro. Sfortunatamente hanno deciso in piena coscienza di strizzare le palle al Rock N Roll cavalcandone una delle sostanze a cui vale la pena farlo: il denaro.
( Mucchio Selvaggio, i 500 dischi fondamentali, Giunti, 2003 )

Non c’è dubbio che Sticky Fingers dei Rolling Stones rappresenti l’ultimo ( o penultimo, a secondo dei punti di vista ) capolavoro della famosa band inglese, senz’altro uno dei classici del Rock peraltro apripista di un decennio che avrebbe accolto così tanta varietà di suoni e stili differenti da rimanerne soffocato. Il famoso disco zip fu spesso preso a pretesto, come fonte preziosa e necessaria, durante i vari passaggi che hanno attraversato i tanti sconvolgimenti epocali succedutesi nel corso di quegli anni. Soprattutto nel caos causato dalla rivoluzione del Punk, intorno alla metà del decennio.
Mai un disco di musica Rock era stato capace di evocare con tanta crudezza una immagine devastata da fatti di droga, di solitudine e di sofferenza. In Sister Morphine, il brano che Marianne Faithfull pubblicò per prima già nel 1969, i Rolling Stones riescono a descrivere, con tono straziante,  gli ultimi istanti di un moribondo che chiede il farmaco per alleviare i suoi dolori. Forse si tratta di overdose forse altro ma la scrittura di Jagger e Richards non era finora mai stata cosi esplicita nel rendere toccante una immagine di sofferenza umana, musicalmente sostenuta dal pianoforte di Jack Nitzsche e dalla slide di Ry Cooder
Ma Sticky Fingers è soprattutto il capolavoro dei Rolling Stones, liberi finalmente dalle regole contrattuali imposte dalla Decca e già pronti a cominciare una nuova vita musicale all’insegna della indipendenza più sfrenata. Innanzitutto la linguaccia stilizzata che rappresenta il logo della loro etichetta personale, la Rolling Stones Records, creata dal designer inglese John Pasque, e una libertà di fondo che travolgerà più di un pregiudizio tra i benpensanti. Come per esempio, tanto per cominciare, la famosa copertina del disco disegnata dall’artista pop Andy Warhol ( qualcuno lo ricorderà, genio irriverente e sarcastico, come l’autore della famosa banana in bella vista sulla copertina del primo disco dei Velvet Underground del 1967 o, per altri versi, i barattoli stilizzati Campbell o l’icona di Marylin Manroe riprodotta all’infinito) che contiene persino una vera cerniera apribile su un paio di jeans maliziosi che molti pensarono appartenessero a Jagger (eterno seduttore) quando invece erano di Joe Dalessandro, un attore della corte di Wharol.

Anche il brano d’apertura, Brown Sugar, letteralmente zucchero di canna, che ambiguamente sotto intende un altro tipo di zucchero, entra nella nuova tendenza intrapresa dalla band, attraverso un suono duro, sporco e letale ( merito anche della chitarra del nuovo arrivato, Mick Taylor, in sostituzione di Brian Jones, deceduto misteriosamente qualche mese prima ) , che fa allusioni senza mezzi termini a temi di tossicodipendenza dove, non a caso, gran parte dei protagonisti del rock ne è vittima in quel periodo ( proprio in quelle settimane molti musicisti illustri vi moriranno ).  
L’album ha una evidente continuità col passato (Let It Bleed e persino Beggar’s Banquet ), con tutti i brani registrati in luoghi differenti tra loro, tra l’Alabama (i famosi Muscle Shoals Studios),  Londra e il lo studio mobile di loro proprietà, durante il biennio 1969 - 1970, e si avvale della collaborazione di strumentisti a fiato, Bobby Key e Jim Price nonché delle tastiere del famoso turnista Nicky Hopkins oltre all’eterno sesto Stone Jan Stewart, ed altri, dove tutti contribuiscono a dare un impulso decisivo alla riuscita del lavoro. Collaborazione che continuerà con Exile On Main Street, l’anno dopo (1972), dove segnerà, con un suono volutamente grezzo e sfilacciato, secondo il giudizio di molti, il vertice assoluto e contemporaneamente la fine rovinosa della storia dei Rolling Stones, quella gloriosa.
Nel disco vi sono una country oriented di infinita bellezza come Dead Flowers e una ballata altrettanto ineccepibile, diventata col tempo un segno distintivo del disco, Wild Horses, dove è palpabile la presenza di Gram Parsons, cantautore americano amico di Keith Richards, e due blues polverosi come I Got The Blues con ascendenze Rhytm  & Blues e la rurale You Gotta Move, ; quindi un Rock N Roll preso da Chuck Berry ( Let It Rock, che in origine trovò posto soltanto come singolo), i brani Sway e Bitch, con i fiati in grande evidenza e la conclusiva Moonlight Mile in cui Mick Jagger da prova di grande interpretazione, sorretta dagli archi diretti da Paul Buckmaster
Naturalmente nel corso dei decenni il disco è stato regolarmente ristampato, sia dalla Virgin che dalla Cbs, distributori del marchio originale. Di recente invece è stata approntata una versione DeLuxe Edition (Universal) che contiene un secondo disco di inediti, come l’alternativa Brown Sugar con la chitarra elettro-acustica di Eric Clapton, e quattro brani live presi in prestito da un concerto al Roundhouse nel 1971, direttamente dalla scaletta di Let It Bleed, tra cui una conclusiva Honky Tonk Woman che all’epoca venne pubblicata soltanto su singolo. Il 26 maggio invece è stata posta in vendita una ennesima versione espansa che suggella il tour, attualmente in atto attraverso gli Stati Uniti dove finora ha raccolto oltre un milione di persone (questa la dice lunga sulla morte di questa band di ultrasettantenni !) e la registrazione di un magnifico concerto tenuto a Leeds nel 1971, a dimostrazione della grande energia ( e lo stato di grazia ) che stava attraversando quell’anno la più grande rock n roll band del pianeta terra. 
LUIGI CIAVARELLA 

   
La nuova versione che ripristina la zip originale

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